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Aldo Moro, nuova Commissione d’inchiesta Parlamentare

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Moro_77La proposta di legge per istituire la nuova Commissione d’inchiesta Parlamentare sul “caso Moro“, elaborata dai deputati PD Giuseppe Fioroni e Gero Grassi è stata firmata da 6 capigruppo (Speranza-PD, Brunetta-PdL, Migliore-SEL, Dellai-SC, Meloni-FdI, Pisicchio-CD) e 90 deputati. L’ampio consenso registrato in sede di presentazione sembra aprire le porte all’istituzione di una nuova Commissione, che potrebbe proseguire o “rinnovare” il lavoro già eseguito dalla storica “Commissione Moro”, che operò dal 1979 al 1981.
Di seguito il testo della proposta Fioroni-Grassi

A 35 anni di distanza  il caso Moro è ancora una pagina densa di misteri e di enigmi. Nuove rivelazioni e dichiarazioni hanno riacceso i riflettori sul ‘caso Moro’. Sembrano emergere rilevanti elementi di novità, che riguardano azioni ed omissioni. Ruotano sul sospetto, sempre più connotato da certezza, che la morte di Moro poteva essere evitata. Impegnarsi per ricercare tutta la verità è uno dei migliori servizi che come deputati possiamo fare per il rafforzamento e la credibilità delle nostre istituzioni. Ricercare tutta la verità vuol dire continuare a rendere giustizia ad Aldo Moro, alla sua famiglia e a tutti coloro che credono e amano la democrazia e la libertà e proprio per questo non temono la verità. Spiace purtroppo constatare che, fatti salvi alcuni importanti servizi radiotelevisivi e molti libri scritti sull’evento, ancora oggi esiste una reticenza generale a discutere del ‘Caso Moro’, di cui si parla solo in occasione delle ricorrenze del 16 marzo e 9 maggio. Nonostante il trascorrere degli anni, permane un senso di colpa su quello che lo Stato poteva e doveva fare per la liberazione dello statista DC e che invece non ha fatto o non ha fatto completamente.

Gli elementi di novità sono molteplici e quasi tutti sono il frutto della ricerca di pochi storici volenterosi che hanno preferito esaminare i pochi documenti non secretati per riuscire a capire qualcosa sulla vicenda: Marco Clementi e Miguel Gotor sono forse i più conosciuti, ma bisogna ricordare anche il forte impegno di Leonardo Sciascia all’epoca. La sua testimonianza fu molto utile per conoscere anche i lavori della stessa Commissione d’inchiesta, di cui faceva parte.
Anche le relazioni della Commissione d’inchiesta Parlamentare sul “caso Moro” avevano al loro interno degli utili spunti d’indagine, che sono però finiti nel dimenticatoio con il passare degli anni: alcuni spunti sono stati portati avanti, appunto, dagli storici. Altri sono svaniti nel nulla o hanno alimentato astruse teorie complottiste “campate per aria”.
Oltre alle ricerche storiche, esistono anche altre novità con meno fonti e conferme a sostegno.

Gli artificieri di via Caetani: “Cossiga sapeva della morte di Moro prima della telefonata delle BR”
Vitantonio Raso e Giovanni Circhetta sono i due artificieri giunti per primi nei pressi della Renault 4 in via Caetani. I due hanno rivelato solamente nel 2012, 34 anni dopo la vicenda, alcuni particolari rilevanti del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Nel libro “La Bomba Umana”, Raso anticipa alcuni particolari meglio espressi in alcune interviste pubblicate nel giugno 2013: gli artificieri sarebbero arrivati nei pressi della Renault 4 alle 11, quasi 2 ore prima rispetto all’orario “ufficiale” del ritrovamento. L’altro elemento “scottante” è dato dalla presunta presenza di Cossiga, “tutt’altro che stupito” dalla scena, durante quella che doveva essere un normale controllo di segnalazione di un’autobomba. Fino al 2012, si sapeva che Cossiga e altri uomini politici sarebbero giunti in via Caetani vari minuti dopo la segnalazione dei brigatisti all’assistente universitario di Aldo Moro (con la famosa telefonata delle 12.13). Secondo la versione di Raso e Circhetta, lo Stato sapeva della morte di Moro ben prima della telefonata delle BR, ma non lo ha mai detto.

Le indagini delle Procure competenti dovranno verificare tutto quanto.
Queste testimonianze, però, sollevano molti dubbi.
Raso e Circhetta non sono stati interrogati in precedenza, durante le inchieste giudiziarie e parlamentari. I due hanno iniziato a parlare solamente 34 anni dopo una delle vicende più rilevanti della storia italiana.
Nel caso le testimonianze dovessero essere fondate e precise, cambierebbero molte carte in tavola: sorgono seri dubbi riguardo al motivo per cui lo Stato avrebbe finto di non sapere dell’omicidio Moro e “atteso” la telefonata delle BR. Per non parlare, con infinita malizia, del fatto che quella telefonata potrebbe essere stata “necessaria” per completare un progetto ben preciso.

L’editoriale di Renato Farina: “Giussani, Andreotti e Cossiga…”
Renato Farina, ex giornalista vicino ai servizi segreti militari e con un consistente numero di condanne a carico, nonché ex parlamentare del PdL, ha voluto dire la propria a riguardo della nuova Commissione Parlamentare d’inchiesta sul “caso Moro” in un editoriale pubblicato da “ilsussidiario.net”.
Farina, apparentemente, critica la costituzione della nuova Commissione, per via dei pochi risultati portati dalle precedenti (non solo riguardanti il “caso Moro”). L’ex giornalista cita poi le rivelazioni dei due artificieri e ipotizza: “La Commissione dunque appare nascere sul sospetto contro la persona di Cossiga, e questo se vero sarebbe ingiusto e vigliacco”.
Con un salto logico molto interessante, Farina parla di sue tre amicizie “tutte cristiane”: don Giussani, Andreotti e Cossiga. Del primo elogia la capacità del ricordo dell’amico ucciso e la citazione della preghiera di Paolo VI in morte di Moro. Del secondo e del terzo ricorda i “lunghi colloqui” inutili a risolvere “un enigma altamente equivoco”, per via della chiusura dei due “nella considerazione che erano state le Brigate rosse, punto e basta”.
Parlando di Andreotti espone un ragionamento abbastanza ambiguo e alcuni fatti poco conosciuti: “Andreotti insisteva molto sull’impossibilità di aprire trattative per salvare “uno di noi”, un politico cioè. Cerco in ogni modo di aiutare – mi disse- la via vaticana alla salvezza dell’”amico Aldo Moro”, con monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI, che aveva preparato un riscatto di forse cinque miliardi da consegnare a nome di Paolo VI. Il tentativo si schiantò all’ultimo istante sull’evidenza della morte di Moro”.
Non è chiaro sapere con quale logica Andreotti avesse chiuso alle trattative per salvare Moro e poi avesse aperto al pagamento di un riscatto da parte del Vaticano.

Nonostante il contenuto dell’editoriale possa suscitare vari tipi di polemiche, è interessante analizzarne il contesto, piuttosto che criticarne i ragionamenti.
E il contesto in cui viene scritto dice una cosa ben chiara: non è ancora tempo (e non si sa se questo possa mai arrivare) che si sappia la verità sulle Brigate Rosse, sul sequestro e sulla morte di Aldo Moro, come sull’eventuale coinvolgimento di “attori esterni” nelle attività delle BR.


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